
Quando approfondiamo le sacre scritture, esse non ci narrano un racconto fine a sé stesso, oppure, solamente un allegoria mitologica di una civiltà antica che ha fatto propria la sua origine, esse nel suo senso più ermetico, parlano all'essenza dell'uomo, infatti, sono state composte per sondare ed educare la "psiche" nel suo significato di anima, e l'uomo di allora, non è diverso evolutivamente dall'uomo di oggi. Le parole che ascoltiamo o leggiamo, vengono assorbite e comprese, e provocano una reazione anche nell'uomo tecnologico, poiché si fondando su valori inalienabili della vita umana.
Genesi 3,9: "Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?»."
Il Contesto Immediato: La Caduta
Per comprendere appieno la domanda divina, è essenziale considerare ciò che la precede. Adamo ed Eva, creati a immagine e somiglianza di Dio e posti nel Giardino dell'Eden, ricevono un unico divieto: non mangiare dall'albero della conoscenza del bene e del male. Sedotti dal serpente, disubbidiscono a questo comando.
Subito dopo aver mangiato il frutto proibito, il testo biblico ci dice: "Allora si aprirono loro gli occhi e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (Genesi 3,7). La prima conseguenza del peccato è la coscienza della propria nudità e la conseguente vergogna. Non si tratta solo di una nudità fisica, ma di una nudità che rivela una vulnerabilità e una perdita di innocenza. La loro reazione è il tentativo di coprirsi, di nascondere questa nuova condizione.
Poi, "udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino" (Genesi 3,8). Il rapporto di fiducia e intimità che avevano con Dio è spezzato. Non cercano più la sua presenza, ma tentano di sfuggirla, di nascondersi.
La Domanda Divina: "Dove Sei?"
Ed è in questo momento di paura, vergogna e nascondimento che risuona la voce di Dio: "Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?»" (Genesi 3,9).
Questa non è una domanda dettata dall'ignoranza. Dio, nella sua onniscienza, sa perfettamente dove si trovano fisicamente Adamo ed Eva. La domanda è, di natura esistenziale e teologica, non è una domanda accusatoria, ma una ricerca. È il Creatore che, come un padre preoccupato, cerca il figlio che si è smarrito. Esprime il dolore e la tristezza di Dio per la rottura della relazione. Il "Dove sei?" è un invito a uscire dal nascondimento, a riprendere il dialogo.
La domanda è rivolta alla loro condizione interiore.
"Dove sei?" significa "Dove sei finito nella tua relazione con me?" Il peccato ha creato una distanza, una separazione. Adamo non è più nella posizione di fiducia e innocenza in cui era stato creato.
"Dove sei rispetto a te stesso?" La nudità e la vergogna indicano una perdita di integrità. Hanno perso la loro autenticità, la loro "identità naturale" come creature di Dio. Non si riconoscono più in quella pienezza e trasparenza originali.
"Dove sei nel tuo ruolo nella creazione?" Erano stati posti nel giardino per custodirlo e lavorarlo. Ora, la loro azione ha introdotto disordine e maledizione.
La Risposta dell'Uomo e le Conseguenze
Adamo risponde: "Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" (Genesi 3,10). La paura e il senso di colpa sono le immediate reazioni. Dio, allora, prosegue con le domande che mirano a far emergere la verità della loro trasgressione e la piena responsabilità: "Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?" (Genesi 3,11).
Le risposte successive di Adamo ("La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato") e di Eva ("Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato") mostrano un ulteriore degrado: la tendenza a scaricare la colpa l'uno sull'altro e persino su Dio stesso ("la donna che tu mi hai posta accanto").
Il dialogo si conclude con le conseguenze del peccato (la maledizione del serpente, i dolori del parto per la donna, la fatica del lavoro per l'uomo, la mortalità) e l'espulsione dal Giardino dell'Eden.
Il Significato Perenne di "Dove Sei?"
La domanda "Dove sei?" risuona attraverso i secoli, mantenendo la sua rilevanza per ogni essere umano.
L'Invito all'Esame di Coscienza
È una chiamata all'introspezione. Ci invita a chiederci dove siamo nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nel nostro percorso spirituale. Siamo autentici? Stiamo vivendo in accordo con la nostra vera natura o ci stiamo nascondendo dietro paure, scuse o maschere?
La Misericordia di Dio
Nonostante il peccato, la prima azione di Dio non è la condanna, ma la ricerca. Questo sottolinea un aspetto fondamentale del carattere divino: la sua misericordia e il suo desiderio di ristabilire la relazione, anche quando l'uomo si è allontanato. È un Dio che non abbandona la sua creatura.
La Ricerca della Vocazione
Come accennato prima, la domanda implica anche la ricerca della propria vocazione. Se l'uomo ha perso la sua "posizione" di armonia e identità, la domanda divina è un richiamo a ritrovarla, a riscoprire il proprio posto nel disegno di Dio e a vivere in pienezza.
In definitiva, "Dove sei?" è la domanda che Dio continua a rivolgere all'umanità, un'interrogazione che invita alla riflessione profonda sulla propria condizione, sulla propria responsabilità e sulla possibilità di un ritorno all'integrità e alla relazione con il divino.
Gli Alberi del Giardino: Metafore dell'Armonia Iniziale
Nel racconto della Genesi, il giardino dell'Eden non è solo un luogo fisico, ma un simbolo di una condizione perfetta di armonia:
Abbondanza e Provvidenza
Dio provvede generosamente a ogni bisogno dell'uomo. Ogni albero, tranne uno, è fonte di nutrimento e gioia, rappresentando la pienezza della vita che Dio offre. Le "attività umane permesse" sono quelle che si svolgono in questa cornice di fiducia e dipendenza amorevole dal Creatore.
Relazione e Comunione
Il giardino è il luogo dell'incontro diretto e sereno tra Dio e l'uomo. La passeggiata di Dio "alla brezza del giorno" suggerisce un rapporto di intima comunione, senza veli né paure. L'uomo viveva in una perfetta integrità con sé stesso, con gli altri e con il Creatore.
Libertà Responsabile
L'unico divieto, quello dell'albero della conoscenza del bene e del male, non era una limitazione arbitraria, ma un confine che definiva la libertà dell'uomo in relazione a Dio. Era un richiamo a riconoscere la propria posizione di creatura e a non usurpare il ruolo del Creatore. Mangiare di quell'albero significava decidere autonomamente cosa fosse bene e male, al di fuori del volere divino.
La Rottura dell'Armonia: Il Peccato e l'Albero della Conoscenza
Quando l'uomo sceglie di mangiare del frutto proibito, avviene la rottura dell'armonia.
Questo atto di disubbidienza è molto più di una semplice trasgressione di una regola; è una frattura profonda.
Chiusura del Rapporto con il Creatore:
La reazione immediata di Adamo ed Eva di nascondersi indica la rottura di quel rapporto intimo e fiducioso. L'uomo non desidera più la presenza di Dio, ma la teme. Questa chiusura non è solo esterna, ma anche interiore: l'anima si chiude alla grazia e alla guida divina.
Rifiuto della Proposta Divina L'uomo, esercitando il suo libero arbitrio, decide di rifiutare la proposta divina. Questa proposta era una vita di dipendenza amorevole e fiducia, in cui Dio stabiliva i confini del bene e del male. L'uomo sceglie di "prendere la sua strada", diventando arbitro di sé stesso.
L'Uomo "Come Dio": La Polarità Bene e Male
L'inganno del serpente era proprio: "sarete come Dio, conoscendo il bene e il male" (Genesi 3,5). Il peccato non conferisce all'uomo la divinità, ma la presunzione di poter giudicare autonomamente ciò che è bene e ciò che è male, sganciandosi dalla verità rivelata da Dio. Questo è il punto cruciale: l'uomo si fa giudice di sé stesso e del mondo, basandosi sulle proprie percezioni e desideri, piuttosto che sulla sapienza divina.
Una Strada Spesso Intrisa di Sofferenza
Le conseguenze di questa decisione sono quelle che osserviamo nella storia umana e nell'esperienza individuale: l'uomo si fa una strada spesso intrisa di sofferenza.
La conoscenza del bene e del male, acquisita al di fuori della relazione con Dio, genera un conflitto interno. La coscienza è ora tormentata dal senso di colpa, dalla vergogna e dalla paura.
La tendenza a giudicare gli altri, a scaricare la colpa (Adamo accusa Eva, Eva accusa il serpente) porta a relazioni umane complesse, spesso dominate da egoismo, competizione e violenza (Caino e Abele ne è la prima tragica conseguenza).
La "frattura" con il Creatore porta a un senso di alienazione spirituale, di smarrimento e di vuoto esistenziale.
Le maledizioni pronunciate da Dio (fatica nel lavoro, dolori del parto, morte) non sono tanto punizioni arbitrarie, quanto le naturali conseguenze di una natura umana disordinata e ferita a causa della rottura dell'armonia originale. La vita diventa una lotta, una ricerca affannosa di quel bene che sembra sfuggire.
La narrazione della Genesi descrive non solo un evento allegorico, ma una verità archetipica sulla condizione umana: l'uomo è stato creato per una relazione di fiducia e armonia con Dio e la creazione. La scelta di esercitare il libero arbitrio per definire autonomamente la propria moralità ha portato a una profonda disarmonia, una frattura che continua a generare sofferenza e a spingere l'uomo a cercare, spesso dolorosamente, un modo per ritrovare quel bene perduto.
I Mali dell'Uomo: Traccia del Disordine e della Perdita di Senso
Il peccato originale, come abbiamo visto, ha introdotto una disarmonia non solo nella relazione con Dio, ma anche all'interno dell'uomo stesso. Le passioni non sono più pienamente subordinate alla ragione, la volontà è indebolita, e l'intelletto è oscurato. Questo porta a conflitti interiori, ansie, frustrazioni e alla difficoltà di trovare pace e coerenza.
Da questo disordine interiore derivano le scelte morali sbagliate. L'uomo, volendo essere "come Dio" e definire da sé il bene e il male, finisce spesso per agire in modi che danneggiano sé stesso e gli altri, generando ingiustizie, egoismo e violenza.
Avendo reciso il legame con il suo Creatore e con la sua vera vocazione, l'uomo sperimenta un vuoto esistenziale. La vita può apparire priva di significato profondo, una ricerca affannosa di piaceri effimeri o successi materiali che non riescono a colmare quel senso di vuoto lasciato dalla perdita del "contesto originario".
La Fede e la Pratica della Giustizia come Ordine e Limite Naturale
L'idea di giustizia intesa come ordine e limite naturale è fondamentale. Non si tratta solo di legalità o equità sociale, ma di un ritorno all'ordine intrinseco dell'esistenza, così come era stato stabilito da Dio.
Questo include:
- Limiti Etici: Riconoscere che esistono confini al nostro agire che, se superati, portano a conseguenze negative (il "non mangiare di quell'albero").
- Ordine Interiore: Ricomporre l'armonia tra ragione, volontà e passioni, sottomettendole a un principio superiore.
- Ordine Relazionale: Vivere in modo giusto e caritatevole con gli altri, riconoscendo la loro dignità e i loro diritti, superando l'egoismo che ha avuto origine nel peccato.
Associazione all'Istinto Animale (con una distinzione cruciale)
Gli animali vivono in un ordine naturale predefinito; le loro azioni sono regolate da istinti che li mantengono in equilibrio con la loro natura e il loro ambiente. Sebbene l'uomo possieda anche istinti, la sua peculiare differenza è il libero arbitrio. L'animale non può rifiutare il suo istinto (non "pecca" in tal senso), mentre l'uomo, nel suo arbitrio, "potrebbe rifiutare come ha fatto nel peccato".
La sfida per l'uomo è quindi non solo riconoscere l'ordine naturale (la "legge naturale" o la "volontà divina"), ma anche scegliere liberamente di aderirvi. Questo richiede uno sforzo consapevole e una virtù che va oltre la semplice pulsione.
La Pratica Religiosa come Cura e Ritorno all'Armonia Originaria
Alla luce di tutto ciò, la pratica religiosa, può essere considerata una cura per un male diffuso nell'animo umano, una visione che risuona profondamente in molte tradizioni spirituali.
La fede e la pratica religiosa (preghiera, meditazione, sacramenti, riti, vita comunitaria, studio delle scritture, opere di carità) sono intese come strumenti per sanare le ferite lasciate dal peccato. Offrono una via per ristabilire quella relazione spezzata con il divino e per ricostruire l'ordine interiore.
I precetti religiosi, le regole morali e le discipline spirituali non sono viste come semplici imposizioni, ma come indicazioni pratiche per guidare l'uomo verso il bene, limitare il disordine e orientarlo verso la sua vera vocazione. Essi "donano salute" perché indirizzano l'uomo verso comportamenti che favoriscono il benessere integrale (fisico, mentale, spirituale) e le relazioni armoniose.
In ultima analisi, l'obiettivo della pratica religiosa è un ritorno all'armonia originaria. Non si tratta necessariamente di un ritorno a una condizione idilliaca e perduta nel tempo (come l'Eden fisico), ma a una condizione di integrità e pace interiore che riflette l'ordine divino. È un cammino di redenzione e riconciliazione che permette all'uomo di ritrovare la sua vera identità e il suo senso di appartenenza a un disegno più grande.
In sintesi, la condizione umana attuale, con i suoi mali e la sua ricerca di senso, è una conseguenza della rottura dell'armonia originale. La fede e l'adesione a un ordine trascendente (attraverso la pratica della giustizia e i precetti religiosi) sono la via per sanare questa frattura e ritrovare la propria autentica vocazione e un senso di pace.
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