
In questo insegnamento il nostro fratello Leone di Giuda, ci guida per le vie imperscrutabili del Signore, che si erge oltre le opere dell'uomo nella sua polarità di "Bene e Male", per far sì che si compia la sua volontà, ma che comunque non lascia impunite le azioni umane. Giacobbe acquista con inganno e illecito la primogenitura, tuttavia, una azione permissibile dalla volontà di Dio, in quanto Easù, nonostante fosse forte e coraggioso, i suoi costumi erano corrotti, infatti, vende la primogenitura per un piatto di minestra. La madre di Giacobbe ne è consapevole ed Isacco, mostra di non curarsene, per questo Dio si muove in queste dinamiche, seppur apparentemente di ingegno umano, compiendo le sue vie. Nonostante questo furto permesso, Giacobbe si renderà conto, che quanto il Signore da, richiede anche molto. Nudo e fuggiasco scapperà dalla casa del padre e senza un bene, si rifugierà nella casa di Labano suo futuro suocero, dal quale ne uscirà provato, ma maturato nello Spirito e conscio della responsabilità di aver ereditato una grande eredità spirituale.
"Bereshit (Genesi) 33
Poi Giacobbe alzò gli occhi e vide arrivare Esaù che aveva con sé quattrocento uomini. Allora distribuì i figli tra Lia, Rachele e le due schiave; mise in testa le schiave con i loro figli, più indietro Lia con i suoi figli e più indietro Rachele e Giuseppe. Egli passò davanti a loro e si prostrò sette volte fino a terra, mentre andava avvicinandosi al fratello.
Prostrarsi sette volte: il significato profondo del gesto di Giacobbe
Il termine ebraico hishtachavayah (הִשְׁתַּחֲוָיָה), tradotto con “prostrarsi”, ha un significato molto profondo nella cultura ebraica antica. Non è semplicemente un gesto formale, ma esprime sottomissione, rispetto, o adorazione, a seconda del contesto in cui si manifesta.
Nel caso di Giacobbe, che troviamo in Genesi 33:3, il gesto assume una forza ancora maggiore, perché l’uomo non si prostra una sola volta, ma sette volte:
“Egli passò davanti a loro e si prostrò a terra sette volte, finché fu vicino a suo fratello.”
(Bereshit / Genesi 33:3)
Questo dettaglio non è secondario. Nella Torah, il numero sette è ricco di significato: rappresenta la completezza, la totalità, la pienezza spirituale e la presenza Divina.
Lo vediamo nei sette giorni della Creazione, nel settimo giorno di Shabbat, nei sette bracci della Menorah, nelle sette settimane che conducono da Pesach a Shavuot, e in molte altre strutture spirituali del testo sacro.
Prostrarsi sette volte significa dunque:
• Umiliarsi completamente
• Offrire onore pienamente a chi ci sta di fronte
• Spogliarsi di ogni forma di orgoglio
Nel contesto del ritorno di Giacobbe a casa, questo gesto non è teatrale, ma profondamente spirituale e trasformativo.
Lui aveva sbagliato in passato, appropriandosi con l’inganno della primogenitura di suo fratello Esav. Ma il tempo, la maturità e soprattutto l’incontro con l’Eterno lo avevano portato a una nuova consapevolezza.
Ora non è più l’uomo che fuggiva, ma l’uomo che torna, che si abbassa davanti a suo fratello non solo per evitare un conflitto, ma per cercare una vera riconciliazione. E lo fa nel modo più potente che conoscesse: prostrandosi sette volte, fino a terra.
Come ripeto spesso: non possiamo leggere la Torah – né tantomeno il Brit Chadashà (Nuovo Patto) – con la mentalità del 2025.
Se lo facessimo, rischieremmo di deformare e impoverire profondamente il messaggio che Adonai ci vuole trasmettere.
Giacobbe comprese il suo errore, tornò in sé, e si spogliò di ogni onore acquisito, per riconoscere la dignità dell’altro, di colui a cui aveva fatto torto.
E noi?
Siamo capaci di agire come Giacobbe?
Siamo capaci di riconoscere i nostri sbagli, di abbassarci, e di prostrarci — spiritualmente o anche fisicamente — davanti a chi abbiamo ferito, chiedendo perdono con cuore sincero?
O siamo ancora prigionieri del nostro orgoglio?
Riflettiamo.
Testo tratto dalla comunità messianica Sukkot
Shalom"
Leone di Giuda
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