Alfa e Omega

Pubblicato il 30 settembre 2025 alle ore 22:35

Per i cristiani, e in particolare nell'idea di Giustino, filosofo cristiano e martire, la figura di Gesù di Nazareth si realizza in due concetti fondamentali e apparentemente distanti: quello ebraico di Messia e quello greco-filosofico di Logos.

L'unione di queste due nozioni permise al cristianesimo primitivo di presentare la figura di Cristo sia al mondo giudaico che a quello ellenistico, definendo la sua natura divina e il suo ruolo nella salvezza.

​Gesù come Messia ("Cristo")
​Il termine "Messia" (in ebraico Mashiach) significa "unto" e nell'Antico Testamento si riferiva a re, sacerdoti o profeti scelti da Dio. Per l'ebraismo, il Messia è una figura umana, un re discendente di Davide, destinato a restaurare il Regno d'Israele, sconfiggere i nemici e inaugurare un'era di pace.

​Il cristianesimo riprende questo titolo, ma ne ridefinisce radicalmente il significato. Per i cristiani, Gesù è il Messia atteso, ma la sua missione non è politica o terrena. Egli è il "Cristo" (dal greco Christos, che traduce Mashiach), l'unto non per un regno fisico, ma per un regno spirituale che si manifesta con la sua passione, morte e resurrezione. La sua regalità si esprime non nella forza militare, ma nel servizio e nel sacrificio, come "Servo sofferente" di cui parlano i profeti. La sua identificazione come Messia si rivela pienamente solo dopo la risurrezione, quando la sua divinità viene manifestata.

​Gesù come Logos (Verbo)
​Il concetto di Logos ("parola," "ragione," "discorso") ha una lunga storia nella filosofia greca. Per filosofi come Eraclito, il Logos era la legge universale che ordina il cosmo. Per gli stoici, era la ragione divina che permea la realtà.

Un'influenza cruciale per il cristianesimo fu il filosofo ebreo Filone di Alessandria, che usò il Logos per mediare tra il Dio trascendente della tradizione ebraica e il mondo materiale, vedendolo come lo strumento con cui Dio creò e governa l'universo.

​Il Vangelo di Giovanni, con il suo celebre prologo ("In principio era il Logos..."), applica questa nozione a Gesù. Dichiarando che il Logos "era presso Dio" ed "era Dio," e che "tutte le cose furono fatte per mezzo di lui," l'evangelista identifica Gesù con la ragione creatrice e ordinatrice di Dio.
Questa teologia del Logos permise ai primi cristiani di:
​Espandere la figura di Gesù: non solo un uomo storico e un messia ebraico, ma una figura cosmica, eterna e divina, che ha sempre avuto un ruolo nella creazione.

​Dialogare con la cultura ellenistica: il concetto di Logos era familiare ai Greci, che potevano così comprendere la figura di Cristo in termini di ragione divina e non solo come un re giudeo.
​In questo modo, la rivelazione del Logos filosofico fornì la categoria teologica necessaria per spiegare la natura divina di Gesù, completando il quadro del suo ruolo di Messia e Salvatore.

Giustino Martire nella sua opera apologetica, fu volta a mostrare che il Logos, la ragione universale che i filosofi greci avevano intuito, era pienamente e storicamente rivelato nella persona di Gesù Cristo.

​Il suo obiettivo era duplice:
​Dimostrare ai filosofi pagani che il cristianesimo non era una religione irrazionale, ma la pienezza di ciò che loro stessi cercavano.
​Affermare la superiorità del cristianesimo su ogni filosofia, in quanto solo in Cristo si trova la verità completa.

​Ecco i punti chiave del suo ragionamento, sviluppato principalmente nelle sue Apologie:

​1. Il concetto di "Logos spermaticos" (Logos seminale)
​Giustino introdusse la nozione di Logos spermaticos, un'idea rivoluzionaria per l'apologetica cristiana. Egli sosteneva che il Logos divino, cioè la ragione di Dio, avesse sparso "semi di verità" (spermatikoi logoi) nel mondo e nell'umanità.

​Nei filosofi greci
Giustino riteneva che figure come Socrate, Platone e gli stoici, pur non conoscendo Cristo, avessero espresso frammenti di verità grazie a questa partecipazione al Logos. Essi erano, in un certo senso, "cristiani inconsapevoli".

​Nei profeti ebrei
Allo stesso modo, il Logos si era manifestato ai profeti dell'Antico Testamento, rivelando la verità in preparazione alla sua piena manifestazione.

​2. Cristo come "Logos intero"
​Se i filosofi greci e i profeti ebrei possedevano solo dei "semi di Logos", Giustino affermava che in Gesù Cristo il Logos si era manifestato in pienezza, "facendosi carne" (Logos sarkopoietheis). Per lui, Cristo non era solo un uomo, ma la ragione eterna e creatrice di Dio che aveva assunto una forma umana.

​3. La superiorità del cristianesimo
​Il ragionamento di Giustino portava a una conclusione potente: il cristianesimo non era una dottrina tra le altre, ma il compimento e la verità definitiva di ogni ricerca umana. Egli poteva dire ai suoi interlocutori che "tutto ciò che è stato espresso bene da chiunque, appartiene a noi cristiani", perché la fonte di ogni verità, anche quella parziale e frammentaria, era il Logos, che si era incarnato e pienamente rivelato in Cristo.

​Giustino Martire ha saputo sintetizzare in modo geniale la filosofia greca e la teologia cristiana, usando il concetto di Logos per fare del cristianesimo la "vera filosofia". La sua opera ha aperto la strada a un dialogo fecondo tra fede e ragione che ha caratterizzato gran parte del pensiero cristiano successivo.


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